28 marzo 2007

Globalizzazione, multinazionali e condizioni del lavoro: consigli per l`uso

Qual'è il primo esempio (stereotipato) che vi viene in mente di multinazionale che sfrutta i prorpii lavoratori? Senza ricorrere alla magia, sono sicura che pensiamo tutti alla stessa: una delle prime grandi aziende che ha sofferto un forte contraccolpo dopo che l'opinione pubblica ha scoperto che molti dei suoi prodotti erano realizzati sfruttando lavoro minorile. Ma tutto questo avveniva nel passato. Come se la passano ora i sub contrctor di questa azienda che possiamo usare come esempio più generale di multinazionale che delocalizza in paesi emergenti? Perchè si parla di globalizzazione e si pensa subito alla produzione all'estero, ma quello che bisogna riconoscere prima di tutto è che la produzione si basa sul lavoro, che è quindi uno dei settori chiave da analizzare e monitorare se si vuole veramente parlare di effetti della globalizzazione. Quello che una recentissima ricerca, svolta "sul campo" da ricercatori e studenti MIT cordinati da R. Locke, ha scoperto, e` che ci sono moltissime differenze tra i diversi sub fornitori. L'azienda infatti ha predisposto delle condizione di lavoro minime che richiede di rispettare ai propri sub fornitori e svolge delle ispezioni per verificare che questi requirement siano rispettati. In termini di qualità del lavoro le differenze riscontrate dipendono soprattutto dalla nazione in cui sono svolti ma anche dalla dimensioni (piccolo è meglio: sorpresa?), dalle modalità e soprattutto la frequenza con la quale l'azienda controlla se i contractors fanno lavorano effettivamente come dichiarano di fare. Il risultato più interessante dell'analisi è un riconoscimento del fatto che il sistema di monitoraggio messo in piedi dall'azienda non ottiene per niente lo scopo: alcune aziende che investono nell'apprendimento dei dipendenti e si curano delle loro condizioni risultano avere un tasso di affidabilità (sempre secondo il metro della multinazionale, che si basa sul controlllo di norme e procedure) minore di quelle che fanno l'opposto. Morale della favola: se davvero si vogliono migliorare le condizione dei (propri) lavoratori in giro per il mondo bisogna sì monitorare le loro condizioni, ma rivedendo il sistema tradizionale informazioni-incentivi in modo da poter meglio indirizzare i comportamenti dei sub cotractors verso l'impiego di un lavoro più decente.

27 marzo 2007

The american way al design?

Italia terra del design? Sì, ma forse non resterà a lungo isolata in vetta alla classifica degli stati "design-oriented". Infatti, udite udite, perfino nella terra di Henry Ford è penetrata l'idea che il design possa essere una delle fonti principali del vantaggio competitivo. Insomma, anche qui in America le aziende hanno cominciato a chiedersi come fare per poter competere con le potenze economiche emergenti, che hanno strutture dei costi completamente diverse.
Per dare maggiore concretezza a queste affermazioni ecco alcuni dati che sono assolutamente illuminanti a riguardo. Il 72,7%(di 707 CEO intervistati) afferma che il design sia un'arma competitiva chiave contro le importazioni low-cost, e ben il 90,3% concorda che il design è una disciplina che il top management deve comprendere e padroneggiare. E per quanto riguarda le modalità di gestione-implementazione? l'81,1% afferma che il design non è materia da essere relegata meramente
ad un ufficio-design.
Notizie ancora più interessanti se si considera che queste percentuali variano di molto rispetto a quello che i CEO considerano essere il punto di vista delle loro aziende alle stesse domande (rispettivamente 49.3%, 48.1% e 52%). Il che sta a significare, secondo me, che anche se per il momento il "fenomeno design" in America non è molto importante ed è concentrato in alcune zone particolari (il nord sembra farla ancora da padrona) il futuro può prospettare orizzonti diversi. I CEO hanno afferrato dove sta il maggior valore nella loro catena del valore: tempo di impostare il cambio di rotta nella loro azienda, e le aziende italiane si troveranno alle calcagna una nuova flotta di agguerriti concorrenti che cercheranno di sfidarle giocando nel loro steso campo: design&creatività.
E i nostri imprenditori non posso nemmeno consolarsi pensando che questo scenario sia solamente un'ipotesi futura: le acque si stanno già muovendo e qualche azienda è già entrata in questa prospettiva. E cioè quella di competere utilizzando arte e design per andare incontro ai gusti dei consumatori e per creare un'identità di prodotto (in questo senso anche la pubblicità e il packaging sono considerati all'interno della definizione "design") o d'impresa.
Ancora titubati sull'esistenza di qualche azienda, magari dei settori tradizionali che stia effettivamente puntando (e ottenendo consensi) giocando in questo campo? Allora potrebbe essere interessante visitare il sito di questa azienda di porte del Montana, che costruisce i propri prodotti a partire dalle richieste dei consumatori e che ha scommesso sulla collaborazione con alcuni artisti. E i numeri le stanno dando ragione: in 4 anni ha raddoppiato il numero di occupati e le vendite.
Nuova sfida per le aziende italiane?

Nel prossimo numero inview su design e North Carolina e sui cluster creativi.

Who's behind these data?
http://www.rtsinc.org/
Stuart Rosenfeld

26 marzo 2007

Alla ricerca del lavoro decente

La traduzione italiana, come accade molto spesso non rende molto, e questo che sembra un esclamazione di un neo-laureato italiano (...), in realtà è il titolo di un agenda che si propone uno scopo molto importante: assicurare un lavoro dignitoso ad ogni lavoratore al tempo dei network di produzione globale.
Lo scorso 16-18 Marzo, presso il center on globalization, governance & competitivness ella Duke si è tenuto un workshop, organizzato dall'ILO su questo tema, con lo scopo di coordinare future ricerche e condividere quelle scoperte passate, in modo da fornire dei validi supporti ai policy makers per analizzare e agire nei confronti dei cambiamenti che la globalizzazione sta apportando al mondo del lavoro. Il lavoro nel mondo, infatti, è uno dei settori che ha visto maggiori cambiamenti legati alla globalizzazione; questa organizzazione ha deciso di lanciare questa agenda nel 1999, per analizzare la qualità e quantità del lavoro globale, focalizzandosi sui pilastri: occupazione-diritti-protezione-dialogo sociale. Per favorire l'approccio sistematico alla problematica, il ristretto gruppo di partecipanti è stato scelto favorendo l'eterogeneità: membri dell'ILO, docenti della Duke, dell' MIT, studiosi di geografia economica e di scienze comportamentali, economisti e sociologi. Uno dei punti focali nell'analizzare le problematiche dello sfruttamento è stata la considerazione del ruolo centrale delle grandi multinazionali. Sotto vari punti di vista sono emerse evidenze che puntano il dito contro i grandi buyer o producer globali che pressano i produttori per ridurre i costi. Tra le varie, interessantissime, presentazioni di esponenti accademici, è brillata la testimonianza di un manager, per l'esattezza il capoccia dei Duke stores, azienda che, forse non tutti lo sanno, ha un fatturato davvero invidiabile. Interessante è stato quindi sentir parlare un accusato delle accuse. Assieme ad altri negozi delle università americane, infatti, gli Duke store sono stati coinvolti in una sorta di scandalo quando si è scoperto (gli americani sembrano un po' ingenui....) che i loro prodotti erano ottenuti (anche) attraverso del lavoro non proprio decente. Da quello scandalo è scaturito una sorta di tentativo di redenzione (sembra sincero comunque) nella quale la Duke (store) si è messa d'impegno per cambiare la situazione cercando di migliorare le condizioni dei propri licenziatari. Il risultato è una "carta dei diritti", che ance i negozi delle altre università dicono di rispettare, nella quale si specifica che per essere licenziatario si devono rispettare (almeno) alcune condizioni minime "anti-sfruttamento". Happy end?? Non proprio. A una verifica del suddetto capoccia è risultato che-perchè non ci stupiamo?-la situazione non è poi così tanto cambiata. Se le grandi aziende (alias catene delle università, ma questo nome è intercambiabile con mille altri) mettono una fortissima pressione competitiva sui loro produttori, è inutile che chiedano anche che essi rispettino condizioni di lavoro minime perchè queste non sono conciliabili con i bassi costi richiesti. Parola di licenziatario.

.... to be profusely continued....

22 marzo 2007

Quando si parla di tecnologie complesse come le nanotecnologie, le persone in grado di "maneggiarle" ed utilizzarle per farne dei prodotti innovativi si contano sulle dita di una mano. Ecco perché in questo settore è importantissima la presenza di istituzioni e centri di ricerca qualificati, che possano fornire input alle aziende.
Da questo punto di vista quindi, si capisce come la North Carolina abbia una marcia in più rispetto a altre location: non a caso una delle cose che rende più famoso lo stato (oltre alle squadre di basket....) è il research triangle, che prende il nome dalla presenza di 3 grandi e rinomate università distanti l'una dall'altra solo poche miglia. La NC ha quindi, sempre secondo quanto detto alla conferenza di cui sotto, un grande vantaggio potenziale, che però non sfrutta a pieno. Questa enorme capacità di innovazione trova un limite in una ricerca che resta più accademica che applicativa.
Le nanotecnologie rappresentano quindi una sfida non solo per le aziende ma anche per le università: una sfida che porti a riconoscere che educazione e workforce devono essere dinamici, e che l'abilità di diversificare si dimostrerà necessaria per il successo.
Molti degli attori delle aziende nanotech vengono proprio dal mondo dell'università, che affiancano aziende di piccole-media dimensioni con la ricerca condotta nei propri laboratori. Ma il ruolo delle università in NC non si ferma qui. Una delle cose che più mi ha colpito alla conferenza è sentire parlare di un diploma in nanotecnologie, presso il Forsyth Technical Community College:
due anni di studio per preparare workforce con le conoscenze e le capacità necessarie non per entrare nel mondo delle ipotesi e delle idee, ma nel mondo del lavoro, e dell'applicazione e commercializzazione di questi prodotti nano.

Nanotech Curricolum Info:
http://www.ncnanotechnology.com/public/nanotechnology/Forsyth-Tech.asp

21 marzo 2007

NC-NT (North Carolina-NanoTech)

La North Carolina sembra più che interessata a rendere questo binomio un dato di fatto: sembra esistano molte associazioni, enti, università e simili che si stanno focalizzando sullo studio di queste nuove tecnologie. Ma, notizia ancora migliore, non si vuole solo studiare ma anche applicare. Esistono più di 48 nano-company che operano nello stato e sembra che il trend sia in continua crescita.
E' già stato realizzato qualche prodotto nanotech? not, yet , ma sembra che il tempo per vederne qualcuno negli scaffali non sia pochi così lontano o meglio, molti sforzi sono volti in questa direzione. Durante la seconda conferenza annuale della NC sulle nanotecnologie ho avuto modo di tastare con mano come le istituzioni e le aziende del settore stanno cercando di concretizzare questo sforzo. Meglio sarebbe, in realtà, parlare di settori: infatti le nanotecnologie sono una definizione sotto la quale ritroviamo più di uno degli industry tradizionali: biotecnologie, computing, farmaceutico,...e molti di questi erano rappresentati nell'audience della conferenza. Vista l'interdisciplinarità della materia, terreno fertile per lo sviluppo di aziende in questo ambito è un territorio dove si ritrovino importanti conoscenze e skill in diversi settori. Quanto Robert Mc Mahan ha sostenuto, è che si formano perciò dei cluster, e la North Carolina è stato uno dei primi stati in America ad investire in questi cluster. Gli stati diventano così key driver per una R&D di tipo collaborativo.

Come sta affrontando questa nuova sfida la NC e quali sono i suoi punti di forza e debolezza?
Lo saprete alla prossima puntata!

While waiting for next post:
www.ncnanotechnology.com
www.nanonexus.org

20 marzo 2007

Ingegneri in salsa cinese

Vivek Wadhwa e Ben Rissing sono due ricercatori della Duke University che hanno approfondito un'interessante tematica che può essere collegata alla globalizzazione: i nuovi entrerpreneurs d'America sembrano essere sempre meno americani. Un numero tra tutti: il 25,3% delle nuove aziende fondate in America tra il 95 e il 05 ha tra i fondatori almeno uno straniero.
I due studiosi, andando controcorrente rispetto alle tradizionali metodologie accademiche, hanno confezionato in tempo record una ricerca che dimostra, inoltre, come paesi quali Cina e India stiano investendo molto più degli USA nello sviluppo di nuovi ingegneri (anche se meno di quanto le statistiche pre-questo-studio dimostravano) e che la legislazione stessa americana impedisce a molti di questi ingegneri di varcare le frontiere del paese (ma sopratutto di rimanerci all'interno) per portarvi conoscenze di cui invece le aziende sono alla continua ricerca.
Anche il sistema scolastico americano perde colpi? L'analisi di Ben e Vivek ricorda che il tempo stringe e il momento migliore per il sistema accademico per rispondere in tempo utile alle sfide legate alla globalizzazione non è domani ma ieri.

It's well worth the reading:
http://www.riponsociety.org/forum107k.htm
http://www.businessweek.com/smallbiz/content/feb2007/sb20070226_468122.htm

More info:
http://www.cggc.duke.edu/projects/outsourcing/outsourcing_papers.html

Sfide nanotech

"ETHICAL CHALLENGES AND ENVIRONMENTAL RISKS IN NANOSCIENCE RESEARCH AND EMERGING TECHNOLOGIES"

Workshop organizzato dalla Pratt school, Nicholas School, Graduate School e il Kenan Institute for Ethics per discutere la sostenibilità, i rischi e le sfide etiche legate all'utilizzo di queste nuove tecnologie. Relatori della conferenza sono stati Dr. Dan Vallero, Adjunct Associate Professor, Civil & Enviro. Engineering e il Dr. Mark Wiesner, Professor of Civil & Enviro. Engineering, entrambi della Duke University.
Dopo una prima parte dedicata alla spiegazione dell'impatto delle nuove tecnologie e un'analisi del rischio associato a queste tecnologie, in particolare confrontandolo con quello di altri settori "consolidati" (raffinazione petrolio, farmaceutico,...) si è svolta un interessante discussione tra gli uditori , a gruppi, per applicare le tematiche affrontate nella prima sessione a un caso "virtuale" di azienda nanotech.

Interesting Link:
http://wiesner.cee.duke.edu/